Più della metà delle barriere coralline del mondo sono potenzialmente minacciate dalle attività antropiche ed è proprio di questi giorni la notizia dello sbiancamento di gran parte della Barriera Corallina Australiana, per questo la scoperta fatta da un team di ricercatori dell’Instituto de Biologia dell’Universidade Federal do Rio de Janeiro (Ufrj) e del Department of Marine Sciences dell’University of Georgia ha dell’incredibile: una fiorente barriera corallina, estesa su circa 3.700 miglia quadrate, più grande dello Stato Usa del Delaware, dove nessuno pensava potesse essere: alla torbida foce del Rio delle Amazzoni, in Brasile.
La scoperta è stata rivelata nello studio “An extensive reef system at the Amazon River mouth” pubblicato suScience Advances e sul Los Angeles Times Patricia Yager, un’oceanografa dell’università della Georgia, dice che in questo inatteso reef vivono molti «animali delle barriere coralline, belli e colorati» alcuni dei quali potrebbero essere nuovi per la scienza. La Yager ritiene che questi reef e alla foce del Rio delle Amazzoni possono essere un collegamento tra le barriere coralline brasiliane e quelle dei Caraibi e che «potrebbe essere utilizzati come rifugio temporaneo per alcuni degli animali che vivono tra loro».
Nell’immaginario collettivo una barriera corallina si erge in acque cristalline e inondate dal sole, per questo i ricercatori sperano anche che la barriera corallina del Rio delle Amazzoni possa contribuire ad una migliore comprensione di come i reef potranno sopravvivere nel tempo dell’Antropocene, del riscaldamento globale e dell’aumento dell’acidificazione degli oceani. Gli scienziati pensavano già che ci potesse essere una barriera corallina alla foce del Rio delle Amazzoni, ma non sapevano assolutamente quanto potesse essere estesa e diversificata, quindi sono rimasti molto sorpresi quando hanno scoperto che si estende dal confine con la Guiana francese fino allo Stato brasiliano del Maranhão. Questa barriera corallina è così strana che i suoi scopritori pensano che possa costituire un nuovo tipo di comunità ecologica. Fabiano Thompson , un oceanografo dell’Ufrj spiega che «Si tratta di qualcosa di completamente nuovo e diverso da ciò che è presente in qualsiasi altra parte del mondo. Ma fino ad ora era stata quasi completamente trascurata».
La foce di uno dei più grandi fiumi del mondo è un luogo improbabile per una barriera corallina: il Rio delle Amazzoni ha una portata che rappresenta il 20% dell’acqua totale che tutti i fiumi del mondo immettono in mare e il suo enorme pennacchio fangoso nell’ Atlantico può essere visto dallo spazio. «Lì non ci si aspetterebbe di trovare reef giganteschi – dice Thompson – perché l’acqua è piena di sedimenti e non c’è quasi luce od ossigeno». Eppure, già negli anni ’50 una nave statunitense raccolse alcune spugne nell’area e qualcuno disse che sotto quell’acqua fangosa ci potesse essere qualcosa di più grande. Nel 1977 un altro team di ricercatori scoprì pesci e spugne di barriera in un’area nei pressi della foce del Rio delle Amazzoni, altrettanto fecero due ricerche negli anni ’90, una delle quali era guidata da Rodrigo Moura, l’autore principale del nuovo studio e biologo marino dell’Ufrj. Però nessuno aveva dato seguito a quelle scoperte, fatta eccezione per lo studio “Mesophotic coral ecosystems occur offshore and north of the Amazon River”, pubblicato nel 2015 sul Bulletin of Marine Science, che però aveva analizzato solo una piccola area settentrionale della barriera corallina. Thompson evidenzia che «Fino ad ora, era stato coperto solo lo 0,001% della superficie totale, perché avevano campionato solo un paio di punti», infatti è difficile accedere alla barriera corallina che si trova a profondità che vanno da circa 50 metri a oltre 110 metri, in un mare sempre molto agitato.
Alla fine del 2012, il team brasiliano di Thompson e la Yager, hanno iniziato le indagini del sistema della barriera e una seconda missione scientifica c’è stata nel 2014. I ricercatori hanno utilizzato sonar per mappare le scogliere e draghe ed altre attrezzature per raccogliere campioni. Thompson ammette che «Questi metodi distruttivi non sono ideali, ma stati necessari per la raccolta iniziale dei campioni per provare la presenza della barriera e identificare le specie che vi abitano. In futuro, potrebbero essere impiegati veicoli telecomandati dotati di telecamere e luci». I ricercatori hanno così scoperto che la barriera corallina si trova a profondità inferiori al grande pennacchio di acqua dolce fangosa del Rio delle Amazzoni, ma hanno anche scoperto che l’acidità, la salinità e la quantità di sedimenti e la luminosità che caratterizzano questo habitat sono drasticamente diversi da quelli che si trova nelle altre barriere coralline del nostro Pianeta. Ci sono più specie nelle aree centrali e meridionali più luminose rispetto a quelle più ricche di sedimenti del nord, che sono più vicine al Rio delle Amazzoni ma, nel complesso, la barriera corallina del Rio delle Amazzoni ha una biodiversità inferiore a quella della Grande Barriera Corallina Australiana e degli altri reef delle acque tropicali, che ospitano un quarto di tutte le specie marine. A sorprendere nella barriera corallina amazzonica è stata l’alta densità di rodoliti, un tipo di alghe rosse che vengono spesso confuse con i coralli per la loro struttura di carbonato di calcio e i colori brillanti. Questi organismi a forma di palla da tennis spesso coprivano il fondo della barriera brasiliana. Anche le spugne sono abbondanti: i ricercatori ne hanno trovato 61 e 29 sono ancora da identificare e potrebbero essere nuove per la scienza. Il team ha anche contato 73 specie di pesci, 35 di alghe, 26 di coralli molli e 12 di coralli duri. Gli scienziati hanno anche scoperto microbi unici che sembrano basare il loro metabolismo non sulla luce, ma sui minerali e sostanze chimiche come l’ammoniaca, l’azoto e lo zolfo. Identificare e comprendere meglio queste specie richiederà un ulteriore studio tassonomico, che è in corso. Ma il team ritiene che ci siano prove sufficienti per riconoscere la barriera del Brasile come un ecosistema unico. «Le condizioni oceanografiche, le caratteristiche metaboliche uniche e la nuova biodiversità ci permettono di sostenere che questo sistema è un nuovo bioma», afferma Thompson.
Carlos Daniel Perez, un biologo marino dell’Universidade Federal de Pernambuco, che pure non è stato coinvolto nella ricerca, ha detto allo Smithsonian Magazine che «La barriera corallina brasiliano potrebbe servire come un corridoio per le specie che si estendono dai Caraibi al Sud Atlantico. Studi come questo sono fondamentali per individuare le aree importanti e per la progettazione di protocolli di gestione ambientale per proteggerle». Thompson e il suo team sono d’accordo: «Bisogna garantire la protezione di questa barriera unica, soprattutto alla luce del fatto che le grandi compagnie petrolifere e del gas stanno esplorando le aree vicine per trivellare. La barriera corallina probabilmente gioca un ruolo importante nel sostenere le attività di pesca dalle quali dipendono le comunità locali».
Infatti, gli scienziati dicono che le minacce per l’ecosistema della barriera appena scoperto non vengono dall’aumento della temperatura o dall’acidificazione, vengono dal petrolio e più specificamente dalle trivellazioni e dall’esplorazione petrolifere e dalle attività di pesca non sostenibili alla foce del Rio delle Amazzoni. Gli autori dello studio ricordano che «Negli ultimi 10 anni nella regione dello studio, sono stati acquisiti un totale di 80 blocchi esplorativi per la trivellazione petrolifera, 20 dei quali sono già in produzione. Questi blocchi presto produrranno petrolio in prossimità delle barriere coralline». Gli scienziati brasiliani e statunitensi chiedono che le compagnie petrolifere facciano una valutazione ecologico-sociale più estesa e completa. Ma le Big Oil sono già un grande problema anche per lo stesso Rio delle Amazzoni: Secondo Mongbay , a partire dal 1978 sono state distrutte più di 289 mila miglia quadrate di foresta amazzonica e le concessioni delle multinazionali coprono un’area della foresta amazzonica grande quanto la Germania. Deforestazione a parte, una ricerca condotta in Perù nel 2014 ha dimostrato che le attività petrolifere possono essere tossiche per ambienti così delicati: Antoni Rosell-Mele, un chimico ambientale dell’università Autonoma di Barcellona, ha detto a LiveScience che «Quasi il 70% dei campioni di acqua del fiume supera i limiti di legge del Perù per il piombo e il 20% supera i limiti di cadmio», Inoltre, l’esplorazione petrolifera ha provocato lo spostamento forzato di molte tribù amazzoniche indigene e quelle che restano vengono esposte a contaminanti che mettono a rischio la loro salute. Per questo Care2 ha lanciato la petizione “Stop Oil Drilling Near Discovered Amazon River Coral Reef” per chiedere al governo brasiliano di fermare le trivellazioni petrolifere vicino alle barriere coralline.
Thompson conclude: «Ci resta molto da scoprire. Anche se questo studio rappresenta la più grande indagine mai condotta della barriera corallina, è stato coperto solo circa il 10% di tutto il sistema. Abbiamo solo una mappa grezza, non molto fine. Abbiamo ancora da descrivere altre 3.240 miglia quadrate»