Alieni: Un messaggio nel sistema solare
Se in un lontano passato un’intelligenza aliena avesse voluto lasciare un “messaggio in bottiglia” per segnalare il suo passaggio dal sistema solare, dove lo avrebbe messo per essere sicura che una futura specie tecnologicamente evoluta sarebbe riuscita a ritrovarlo? Vari luoghi, come la Luna o il satellite di Marte Deimos, sarebbero più sicuri della Terra, ma meglio ancora sarebbe Plutone: a cui si sta avvicinando la sonda New Horizons della NASA.
Un recente articolo di Samuel Arbesman sulla rivista scientifica “Nautilus”discute la straordinaria – e molto speculativa – possibilità di cercare indizi di un’intelligenza extraterrestre nel nostro DNA. E non solo nel DNA umano, ma nel codice genetico di tutti gli organismi viventi.
E’ un’idea affascinante, anche se un po’ fantasiosa, già avanzata un paio di volte negli ultimi anni. Se una specie volesse comunicare attraverso lo spazio e il tempo (molto, molto tempo), codificare un messaggio nell’ordito stesso della vita – nelle sequenze di coppie di basi – potrebbe essere un modo per farlo. E c’è chi l’ha davvero cercato.
Ma, come sottolinea Arbesman, uno dei problemi più difficili da gestire nell’uso del DNA per lasciare un messaggio “segreto” dalle stelle è che l’evoluzione può abbandonare o sovvertire un codice che non stia contribuendo positivamente alla funzionalità degli organismi viventi.
Quindi, se una civiltà tecnologicamente avanzata ha lasciato un biglietto da visita molecolare alcuni milioni o miliardi di anni fa, oggi non sarebbe più presente o riconoscibile, a meno che non sia stato costruito con una tale ingegnosità da farne una parte essenziale per la funzionalità della vita. Allo stesso modo, se qualche bizzarro retrovirus alieno fosse arrivato un miliardo di anni fa, potrebbe essere difficile scovarne la firma nel codice genetico di oggi.
Tuttavia, queste considerazioni mi inducono a ritornare sulla questione di come un ET adeguatamente motivato potrebbe lasciare un messaggio per segnare il suo remoto passaggio nel nostro sistema solare. Un esercizio alquanto speculativo? Senza dubbio, ma comunque divertente.
Una delle molte “soluzioni” possibili al cosiddetto paradosso di Fermi (se la vita aliena non è così rara, perché non si è ancora mostrata?) è la mancanza dei tempi giusti. Gli esseri umani biologicamente moderni esistono solo da cento-duecentomila anni. E’ una finestra di opportunità piuttosto stretta per un tête-à-tête, anche se varie specie pan-galattiche ronzassero in giro per il grande vuoto dello spazio interstellare.
Ma supponendo – con una certa presunzione – che un ET abbia davvero voluto lasciare un biglietto da visita nell’improbabile speranza che prima o poi sarebbe comparso qualcuno abbastanza intelligente da leggerlo, quale sarebbe stato il modo migliore per farlo?
Anche ragionando in termini Terra-centrici, il nostro pianeta probabilmente non è un luogo ideale per lasciare una cosa che dovrebbe sopravvivere per milioni se non miliardi di anni. I cicli geofisici e geochimici devasterebbero le strutture artificiali, senza contare le possibili attenzioni di organismi microbici, soprattutto dei più tenaci, che si nutrono di deliziosa materia inorganica. Inoltre, non ha senso lasciare un messaggio dove è troppo difficile trovarlo, per esempio sepolto nel cuore roccioso di antiche montagne. E bisogna fare in modo che quando il messaggio sarà scoperto, lo sia da un specie abbastanza intelligente da capirlo.
Come in altre occasioni, Arthur C. Clarke, ebbe una visione del problema che precorreva i tempi. Nel suo racconto del 1948 La sentinella, Clarke descrive un artefatto lasciato sulla Luna, un radiofaro di avvertimento per segnalare la presenza di una specie distruttiva (noi) a cui stare attenti non appena fosse riuscita a raggiungere le stelle. E, naturalmente, nel suo 2001: Odissea nello spazio, un monolite alieno sepolto nel suolo lunare è il fulcro attorno a cui ruota il soggiorno dell’umanità nel cosmo.
Se foste voi a girovagare per il nostro sistema solare, e pensaste che la Terra è il luogo più probabile in cui potrebbe emergere la vita intelligente, la Luna sarebbe un ottimo posto per lasciare un messaggio “più tardi chiamami”. L’ambiente lunare è antico, sostanzialmente stabile e praticamente privo del tipo di erosione chimica e biochimica che esiste sulla Terra. Anche se sulla sua superficie piove del materiale, quello grande è raro, quindi non c’è bisogno di una protezione particolarmente imponente. Un mucchio di morbida regolite lunare sarebbe sufficiente.
E dove mettereste il vostro messaggio sulla Luna? Probabilmente in un luogo interessante, un luogo che una specie spaziale vorrebbe visitare. Mi vengono in mente tre scelte ovvie: i depositi polari di ghiaccio d’acqua, le grotte formate dai cunicoli lavici, o una delle strutture più bizzarre e appariscenti, come l’altopiano di Aristarco: tutti luoghi che una specie curiosa (se non ambiziosa) finirà per studiare.
Ma questa idea ha un difetto. Presuppone che un ET di passaggio nel nostro sistema solare consideri la Terra come il miglior posto su cui puntare per avere in futuro un pubblico ricettivo. A seconda del momento in cui avviene la visita, però, potrebbe sembrare più attraente Marte, o una delle lune ghiacciate con i loro oceani sotterranei (molti dei quali possono aver avuto una lunga esistenza).
Collocare un manufatto su una delle lune di Marte – Phobos o Deimos – sembrerebbe logico per molte delle stesse ragioni per cui è un buon posto la nostra Luna. Lo svantaggio di Phobos è che sarà probabilmente frantumato dalle maree gravitazionali fra circa 50 milioni di anni. Un ET intelligente avrebbe ipotizzato questo possibile destino e optato per la luna più piccola ed esterna, Deimos.
Per un posto come il satellite gioviano Europa, le opzioni sono un po’ più limitate, sia per quanto riguarda la sua superficie – che è relativamente giovane e probabilmente attiva su scale temporali geologiche – sia per lo spazio orbitale attorno a Giove, dove la radiazione di particelle è intensa.
Detto questo, lasciare il “messaggio” all’interno di Europa potrebbe essere una buona idea. Una specie ambiziosa proveniente da altre parti del sistema solare potrebbe volerne esplorare le profondità. Oppure lo stesso oceano sotterraneo di Europa potrebbe dare origine a una vita senziente (idea per il vero stiracchiata, considerato il basso livello di energia chimica disponibile). In entrambi i casi, sarebbe come lasciare in mare un messaggio in una bottiglia. Il punto sarebbe trovare il momento giusto per la scoperta, e non vedo come ci si possa riuscire.
C’è un’altra elegante opzione per garantirsi che chi riceve il messaggio abbia raggiunto un livello tecnologico sufficientemente avanzato per capirlo: collocarlo alle “porte” del resto dell’universo: il sistema solare esterno.
Questa “porta” potrebbe essere dalla regione esterna del sistema solare allineata con le orbite planetarie (ossia lungo la traiettoria scelta, per minimizzare l’energia richiesta, da un veicolo che volesse uscire dal sistema), e in tal caso il posto prescelto sarebbe Nettuno. Oppure potrebbe essere uno dei grandi oggetti della cintura di Kuiper che possa incuriosire una specie, o teoricamente utilizzabile come punto di sosta o di rifornimento. Uno di questi oggetti è Plutone.
Non sto suggerendo sul serio che, nell’estate del 2015, quando la sonda NASA New Horizons sfreccerà attraverso il sistema Plutone-Caronte potrebbe individuare un messaggio degli ultimi visitatori alieni. Ma non abbiamo ancora una vera risposta al paradosso di Fermi e, in questo senso, le possibilità sono aperte. Varrebbe la pena di dedicare qualche attimo di attenzione quando le prime immagini ravvicinate di Plutone ci arriveranno da una distanza di quattro ore luce e mezza. Non si sa mai.
[Avvertenza: Faccio parte del comitato consultivo della rivista “Nautilus”, e qualche volta vi scrivo, ma il mio riferimento all’articolo di Arbesman è una pura coincidenza].
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Caleb Scharf è direttore del Centro multidisciplinare di astrobiologia della Columbia University. Ha lavorato nel campo della cosmologia osservativa, dell’astronomia in raggi X e, più recentemente, dei pianeti extrasolari. È autore di vari libri di divulgazione, fra cui I motori della gravità, L’altra faccia dei buchi neri (La biblioteca delle scienze, Le Scienze, marzo 2013, e Codice Edizioni, Torino, 2013).
(La versione originale di questo articolo è stata pubblicata il 14 aprile 2015 su scientificamerican.com. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati. ) [http://www.lescienze.it]
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