Perché sono aumentati i prezzi delle ciliegie? Gelate, manodopera e domanda che non si placa

Ciliegie esposte su un banco con prezzo elevato, accanto a campi colpiti da gelate e braccianti in attività, rappresentanti i fattori che hanno causato l’aumento dei prezzi.

Negli ultimi mesi, il prezzo delle ciliegie è salito a 24 euro al chilo in molte città italiane, trasformando un frutto estivo in un lusso inaspettato. Ma sotto la superficie c’è una tempesta: una corsa ai numeri rossi che coinvolge il clima, la concorrenza globale e i gusti dei consumatori. Nel Sud-est barese, dove crescono quasi un terzo delle ciliegie italiane, le gelate del marzo scorso hanno colpito come un pugno nello stomaco. I produttori, già stremati dalla mancanza di manodopera e dai costi che salgono come una montagna, sono alle prese con una situazione che pare uscita da un romanzo di suspense. Ma la domanda, stranamente, non si abbassa: le ciliegie sono diventate un simbolo di comodità alimentare, richieste dagli italiani come snack da sogno e promosse come oggetti di desiderio sui social media. Questo articolo svela i nodi di una crisi che non riguarda solo il frutto, ma la stessa  salute dell’agricoltura italiana: un sistema che sta vacillando.

Il clima non è più lo stesso: gelate e disastri nel Sud

Il clima non è più lo stesso: le gelate del 2023 hanno raso al suolo i campi del Sud. Nel Sud-est barese, cuore della produzione pugliese, i termometri sono scesi a zero durante la fioritura, uccidendo i boccioli prima che diventassero frutti. “Eravamo pronti per l’estate, ma il freddo è arrivato quando non doveva”, racconta Maria, una contadina di Turi, dove le perdite sono state del 100% in alcuni appezzamenti. Le varietà storiche della regione, come la “Ferrovia” e la “Giorgia”, sono state le prime a soccombere. Ora, dove un tempo c’erano campi rigogliosi, restano soltanto alberi nudi e sguardi disperati.

Ecco il volto di una crisi che non è solo climatica, ma anche umana: le terre che un tempo fruttavano adesso sono desolate. Coldiretti Puglia ha chiesto ufficialmente la dichiarazione di calamità naturale , ma i produttori sanno che non basterà. “Se le gelate torneranno, il Sud non si riprenderà”, avverte un dirigente dell’associazione. Nel frattempo, le ciliegie importate inondano i mercati, ma sono spesso mescolate alle nostre, confondendo consumatori e inflazionando i prezzi al chilo . La difficoltà a distinguere l’origine del frutto si traduce in un gioco di specchi: i consumatori pagano per le ciliegie “made in Italy”, ma spesso trovano quelle importate mescolate ai carrelli dei supermercati.

Marzo e aprile sono stati mesi di ghiaccio per le ciliegie

Marzo e aprile sono stati mesi di ghiaccio: il freddo ha distrutto i boccioli come un colpo di sciabolafiori. A temperature intorno allo 0°C, i fiori sono rimasti ghiacciati, bloccando la fecondazione. “Qui c’era un verde rigoglioso, ora c’è solo silenzio”, dice Giovanni, un coltivatore di Turi, nel cuore del Salento, che ha visto i suoi 10 ettari ridotti a un terzo di produttività.

Il vuoto è stato colmato dalle ciliegie spagnole e turche, ma a un prezzo. “Ora paghiamo noi per le loro scelte”, commenta un venditore romano. La difficoltà a distinguere l’origine del frutto e i costi di importazione hanno creato una spirale che non si ferma: i produttori italiani pagano il prezzo, ma i consumatori pagano il doppio. E tra le fila dei contadini, la disperazione è palpabile.

La manodopera? È diventata un fantasma

La manodopera? È diventata un fantasma: i contadini la cercano come un tesoro. Raccogliere le ciliegie richiede attenzione da chirurgo: un tocco troppo rude e il frutto si rovina. “Un bracciante stagionale, pagato 70 euro al giorno, deve raccogliere 500 chili di ciliegie per guadagnare a malapena da vivere”, spiega un agricoltore di Casamassima. ‘È come pagare per il vento’.

La giovane generazione preferisce la città, e chi resta è sempre meno. “Il Comune di Turi ha allestito un dormitorio per 90 braccianti stagionali: una bandiera bianca in un conflitto tra offerta e domanda”, racconta un sindaco. “Abbiamo abbandonato le ciliegie nel 2021”, aggiunge un coltivatore. “Perché i costi di produzione erano sotto l’1 euro al chilo. Ora? Il mercato è crudele: se c’è troppo, pagano poco; se c’è poco, pagano troppo.”

Il paradosso che fa tremare i produttori

Più i prezzi salgono , meno i produttori respirano: è come vendere diamanti per il prezzo di sassolini. Nel 2023, un chilo di ciliegie pregiate ha toccato i 24 euro, ma i contadini ricevono meno del 25% di quel valore. “È come vendere oro per il prezzo del rame”, commenta un coltivatore. In alcuni casi, il costo del lavoro supera il prezzo di vendita, rendendo la raccolta una perdita economica.

I costi logistici ? Un’ulteriore spina nel fianco: spese di trasporto, commissioni ai supermercati e contratti a termine che non lasciano spazio per profitto. “Abbiamo bisogno di un sistema che protegga entrambe le parti”, dice un produttore. Senza cambiamenti, la produzione italiana rischia di cedere il passo alle importazioni: un pezzo della nostra identità che potrebbe sparire per sempre. ‘Le ciliegie sono il simbolo del Sud: perderle sarebbe come perderne l’anima’, conclude un contadino.

Conclusione

L’aumento dei prezzi delle ciliegie è un sintomo di una malattia che sta corrodendo l’agricoltura italiana: un sistema in bilico tra natura e umanità. Senza politiche che sostengano i contadini e pianifichino il futuro, questa situazione potrebbe diventare un cancro incurabile. Per i consumatori, il prezzo alto non è solo un fastidio: è un grido d’allarme. Le ciliegie non sono solo un frutto: sono la misura della salute di un Paese che rischia di perdere la propria anima.

Redazione

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