La genetica potrebbe spiegare perché beviamo tanto caffè
Due studi tornano sulla scienza del caffè. Uno mette in luce il legame forse in parte anche genetico fra consumi bassi o alti di caffè e salute cardiaca, mentre il secondo indaga, ancora su un campione ristretto, cosa succede nel cervello di chi beve regolarmente almeno 2 tazzine al giorno
Lungo, macchiato caldo o freddo, decaffeinato, al vetro, tantissimi sono i tipi di caffè che possiamo chiedere al bar facendo sorridere o impazzire i baristi. E i cappuccini aggiungono forse altrettante alternative ordinabili. Oggi due ricercatori della University of South Australia analizzano le nostre preferenze anche alla luce della genetica, individuando un possibile legame fra la quantità di caffè che scegliamo di consumare e la salute cardiaca. Il loro studio, pubblicato su The American Journal of Clinical Nutrition. Un’altra ricerca, sempre sull’amata bevanda aromatica, si concentra invece sui cambiamenti a livello cerebrale in chi beve regolarmente e da tempo più caffè al giorno. A fronte di noti benefici a breve termine a livello cognitivo, come la maggiore attenzione e concentrazione, gli autori dell’università del Minho, in Portogallo, indicano nel loro lavoro, pubblicato su Molecular Psychiatry, che nei consumatori regolari si possono osservare differenze nell’attivazione di alcuni circuiti neurali da studiare meglio.
La caffeina dà dipendenza
La caffeina è una sostanza stimolante e psicoattiva che rientra fra l’altro fra quelle che possono causare una dipendenza, nei cosiddetti disturbi da uso di sostanze (fra cui c’è anche l’alcol, il tabacco e le benzodiazepine) nel Manuale diagnostico Dsm-5 che classifica tutte le possibili patologie della salute mentale. I ricercatori australiani, inoltre, segnalano come un eccesso di caffè possa far male al cuore, portando fra l’altro effetti come tachicardia e palpitazioni. Una ricerca del 2019 indica di non superare le 5 tazzine al giorno, dato che già sei possono aumentare di più del 20% il rischio cardiovascolare, mentre fra i consumatori abituali al di sotto delle 5 tazzine quelli meno a rischio erano quelli che ne assumevano una o due (ma anche berne tre o quattro era stato associato a un rischio minore).
Geni: dal caffè al cuore
Il collegamento fra cuore e caffè è spesso studiato e oggi i due ricercatore della University of South Australia hanno preso in considerazione i dati di oltre 390mila persone di origini europee e partecipanti a sperimentazioni all’interno della Uk biobank, un grande studio a lungo termine nel Regno Unito che analizza il legame fra predisposizione individuale, esposizione ambientale e diverse patologie e condizioni di salute. Da un’analisi puramente statistica – dunque che non rintraccia un nesso di causa ed effetto fra gli elementi – è emerso che le persone con alterazioni cardiache o condizioni come pressione alta, angina pectoris e aritmie consumavano in media una quantità giornaliera minore di caffè oppure lo evitavano del tutto o ancora preferivano più frequentemente il decaffeinato. Questa è una buona notizia, secondo Elina Hyppönen, coautrice insieme a Ang Zhou, perché indica che è possibile che in alcuni casi il subconscio ci aiuti a scegliere per il nostro meglio, dunque per la salute. Questo potrebbe anche significare, spiegano gli autori, che chi consuma più caffè è probabilmente più tollerante alla caffeina, mentre chi ne beve poco o nulla è più suscettibile e anche dal punto di vista del rischio cardiovascolare.
Caffè e cervello
La caffeina è una sostanza stimolante, i cui effetti sono ben noti, soprattutto quelli a breve termine. Nell’immediato può favorire la concentrazione e aiutare a mettere a fuoco un compito cognitivo, tenendo alta l’attenzione e la memoria. Si sa di meno sugli effetti a lungo termine e su cosa accade nel cervello dei consumatori regolari e di chi beve molto caffè. A questo scopo l’indagine coordinata dall’università portoghese di Minho, ha studiato il funzionamento cerebrale di chi beve caffè tramite immagini di risonanza magnetica funzionale. Fra i consumatori rientravano i partecipanti che bevono regolarmente più di una tazzina al giorno. La ricerca ha mostrato un’alterazione nella connettività cerebrale, ovvero in come i neuroni sono collegati e comunicano, in alcune regioni del cervello. In particolare, i consumatori regolari mostravano una riduzione funzionale della connettività in due aree collegate al controllo motorio e alla capacità di reagire agli stimoli: questo potrebbe indicare una maggiore prontezza di riflessi e controllo motorio. Inoltre le regioni potenzialmente coinvolte in questi cambiamenti hanno un ruolo anche in vari processi emotivi e di rielaborazione cognitiva ed emozionale. Tuttavia i risultati riguardano un campione ristretto di persone e per questo è presto per pensare di poterli generalizzare.
I due studi odierni, da approfondire, aggiungono conoscenze su un tema e una bevanda molto apprezza, sul perché ci piace e ne consumiamo tanta – a volte troppa– e rivelano che ancora il mondo del caffè potrebbe essere molto esplorato dal punto di vista scientifico.
Foto di S. Hermann & F. Richter da Pixabay
Viola Rita
Fonte: www.wired.it