Clima e vulcani: l’aumento delle piogge in Sicilia non è provocato dalle eruzioni dell’Etna, ecco perchè
Nei giorni scorsi, in Sicilia, s’è diffusa una notizia che ha suscitato l’interesse della popolazione, secondo cui il netto aumento delle precipitazioni degli ultimi anni sull’isola, e in modo particolare nei suoi settori orientali, sarebbe provocato dalle continue eruzioni dell’Etna.
In realtà l’entità delle eruzioni del vulcano siciliano non hanno avuto un’entità tale da poter determinare effetti sul clima, nè per quanto riguarda la forte eruzione di 2002 e 2003 nè tantomeno con i parossismi degli ultimi mesi.
E’ vero che esattamente dalla primavera 2002 in Sicilia piove sempre di più, con continui surplus pluviometrici di anno in anno, ma è anche vero che questo trend è prettamente climatico e non interessa solo la Sicilia ma anche la Calabria, la Puglia, la Basilicata, la Grecia, la Turchia, il nord Africa e, in generale, gran parte dell’area del Mediterraneo, mentre in questi ultimi 10 anni sono stati sempre più frequenti gli episodi di siccità tra l’Italia centro/settentrionale e l’Europa centro/occidentale, tra cui quello, molto grave, in atto proprio in questi ultimi mesi.
Si tratta di cambiamenti degli assetti pluviometrici che hanno completamente smentito le catastrofistiche previsioni di “desertificazione del sud Italia” e della “risalita del deserto del Sahara verso il Mediterraneo“, e che sono determinati esclusivamente da fenomeni climatici e non certo dalle eruzioni dell’Etna.
Per fare chiarezza una volta per tutte, abbiamo sentito Domenico Patanè, direttore della sezione catanese dell’Ingv, che ci ha spiegato come “le eruzioni vulcaniche, in relazione alla loro potenza ed esplosività, possono innescare modifiche nel sistema climatico. Quindi solo alcuni tipi di eruzioni vulcaniche hanno un effetto sul clima. Prima di tutto una eruzione deve essere sufficientemente intensa da emettere una grande quantità di polveri nella bassa stratosfera, ovvero in quella fascia atmosferica tra i 20 e i 30 km di altezza. Nella bassa stratosfera, caratterizzata da assenza di rimescolamento, la nube di cenere troverebbe il modo di espandersi orizzontalmente fino a formare un esteso velo in grado di riflettere verso lo spazio una maggiore quantità di radiazione solare incidente. Un altro fattore che riveste una certa importanza è anche la posizione del vulcano sul globo terrestre; nel caso di eruzione di un vulcano situato alle basse latitudini, la nube di cenere che raggiunge la stratosfera causa un maggiore impatto sul bilancio climatico terrestre”.
“Le eruzioni del Tambora (1815), del Krakatoa (1883) e del Pinatubo (1991) – continua Patanè –sono state le tre grandi eruzioni vulcaniche degli ultimi secoli che hanno maggiormente fatto parlare di sé per la scia di morte e distruzione che si sono lasciati dietro. Le ceneri raggiunsero altezze notevoli (40-50 chilometri di altitudine sul livello del mare) sino alla stratosfera favorendo un più efficace spargimento delle polveri vulcaniche nell’atmosfera, causa dei notevoli cambiamenti climatici soprattutto per i due primi casi. A seguito dell’eruzione del Pinatubo un raffreddamento globale di 0.3°C fu registrato nei due anni successivi all’eruzione e gli effetti, nell’Emisfero Nord, furono più evidenti nella stagione estiva perché, proprio in questo periodo dell’anno, i livelli di radiazione solare raggiungono il loro massimo. Ma grazie a questa eruzione, i climatologi iniziarono a cercare di comprendere meglio come questo fenomeno naturale possa contribuire a modificare il clima del nostro pianeta. Se consideriamo l’indice di esplosività definito dai vulcanologi chiamato VEI (Volcanic explosivity index) che varia tra 0 e 8, l’eruzione del Tambora avrebbe avuto indice VEI uguale a 7, quella del Krakatoa pari a 6 mentre quella del Pinatuto un indice compreso tra 5 e 6, valori decisamente più elevati rispetto a quelli delle recenti eruzioni dell’Eyjafjallajokull del 2010 (VEI pari a 4) o dell’Etna (es. 2002-2003, VEI pari a 3). Nel caso dell’eruzione dell’Eyjafjallajokull le nubi di cenere raggiunsero i 15 km di altezza arrivando, in effetti, nella bassa stratosfera. Mentre nel caso dell’Etna, anche per le più recenti eruzioni parossistiche del 2011-2012, solo in alcuni casi le nubi di cenere hanno superato i 10 km di altezza rimanendo nella troposfera e la maggior quantità di polveri è ricaduta sulla superficie terrestre. Quando il materiale eruttato finisce solo nella troposfera, ovvero all’interno della fascia atmosferica a noi più vicina, i fenomeni meteorologici disperdono velocemente le polveri eruttate“.
Di Peppe Caridi
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