Creato in laboratorio un “buco nero” tascabile

Uno studio appena uscito sulla rivista Nature dimostra che è possibile generare un buco nero “elettomagnetico” di piccolissima taglia: le dimensioni di una molecola. Estraendo 54 dei 62 elettroni di una molecola di iodometano, infatti, i ricercatori sono riusciti a creare un oggetto in grado di attirare altri elettroni con una forza superiore a quella gravitazionale di un buco nero stellare

Rappresentazione artistica dell’intenso flash a raggi X che colpisce gli elettroni dell’atomo di iodio (a destra) in modo da attirare a sé gli elettroni del gruppo metilico (a sinistra), come una versione elettromagnetica di un buco nero. Crediti: Desy/Science Communication Lab

I buchi neri, si sa, possono avere dimensioni anche molto diverse: da qualche volta a miliardi di volte la massa del nostro Sole. Un team di scienziati è riuscito a trasformare un intenso impulso di raggi X in un minuscolo “buco nero molecolare”. A differenza di quelli che si trovano nello spazio, questo buco nero non attira a sé la materia attraverso la propria gravità, ma attira gli elettroni con la sua carica elettrica, e provoca l’esplosione della molecola in una piccola frazione di secondo. Lo studio, pubblicato sull’ultimo numero della rivista Nature, fornisce importanti informazioni per l’analisi delle molecole attraverso l’uso di laser a raggi X.

I ricercatori, guidati da Artem Rudenko della Kansas State University, hanno utilizzato il laser chiamato Linac coherent light source (Lcls) che si trova presso lo Slac national accelerator lboratory, negli Stati Uniti, per bombardare molecole di iodometano (CH3I) con luce ai raggi X. Gli impulsi generati hanno raggiunto intensità pari a 100 biliardi, ovvero milioni di miliardi, di kilowatt per centimetro quadrato. Il laser ha sbalzato via 54 dei 62 elettroni della molecola, creandone una nuova con una carica positiva 54 volte quella di un elettrone. «Per quanto ne sappiamo, si tratta del livello di ionizzazione più alto mai ottenuto con questa tecnica», dice Robin Santra del Center for free-electron laser science (Cfel), coautore dello studio.

Una ionizzazione così estrema non avviene tutta in una volta. «Il gruppo metilico CH3 è in un certo senso cieco ai raggi X», spiega Santra. «Inizialmente l’impulso a raggi X spoglia l’atomo di iodio di 5 o 6 dei suoi elettroni. La carica positiva che ne consegue significa che l’atomo di iodio è in condizione di attirare a sé gli elettroni del gruppo metilico, come una specie di buco nero atomico». La forza esercitata sugli elettroni è molto maggiore di quella che si verifica attorno a un buco nero di una decina di masse solari. «Il campo gravitazionale dovuto a un buco nero stellare non sarebbe in grado di esercitare una forza altrettanto grande su un elettrone», aggiunge Santra.

Schema del set-up sperimentale. Il fascio di raggi X interseca un fascio molecolare all’interno di uno spettrometro, che misura tutte e tre le componenti del moto dell’impulso ionico. TOF sta per Time of flight, ovvero tempo di “volo”, o spostamento, dello ione. Crediti: Rudenko et al. 2017

Il processo avviene così rapidamente che gli elettroni risucchiati, vengono catapultati via di nuovo dall’impulso a raggi X. Il risultato è una reazione a catena durante la quale vengono eliminati fino a 54 dei 62 elettroni a disposizione. Tutto questo avviene entro un trilionesimo di secondo.

«Questo genera una carica positiva estremamente elevata, che si sviluppa nello spazio di un decimo di miliardo di metri. Il risultato finale è che la molecola si disintegra», spiega Daniel Rolles del progetto Desy presso il Cfel, coautore dell’articolo.

Questo tipo di esperimenti, condotti presso il Lcls statunitense o l’X-ray free-electron laser (Xfel) europeo, producono raggi X ad alta intensità, che possono essere utilizzati anche per determinare la struttura spaziale delle molecole complesse, arrivando al dettaglio del singolo atomo. Informazioni così precise possono rivelarsi di grande interesse, ad esempio nella biologia per comprendere il funzionamento di biomolecole.

«Lo iodometano è una molecola relativamente semplice per comprendere i processi che si verificano quando i composti organici sono danneggiati dalle radiazioni», dice Artem Rudenko. «Se sono presenti più di un singolo gruppo metilico, possono essere risucchiati anche più elettroni».

Il team che ha effettuato la scoperta è riuscito anche a descrivere in termini teorici queste dinamiche estremamente veloci. Questo è stato possibile grazie a un nuovo software, sviluppato per l’occasione. «Non è soltanto la prima volta che riusciamo ad eseguire con successo l’esperimento, ma è anche la prima volta che possiamo fornire una descrizione numerica del processo», sottolinea Sang-Kil Son del Cfel, coautore dello studio e responsabile del team che ha sviluppato il software di analisi. «I dati raccolti sono molto rilevanti per gli studi che fanno uso di laser a elettroni liberi, perché mostrano in dettaglio ciò che accade quando vengono prodotti danni da radiazioni».

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature l’articolo “Femtosecond response of polyatomic molecules to ultra-intense hard X-rays” di A. Rudenko, L. Inhester, K. Hanasaki, X. Li, S. J. Robatjazi, B. Erk, R. Boll, K. Toyota, Y. Hao, O. Vendrell, C. Bomme, E. Savelyev, B. Rudek, L. Foucar, S. H. Southworth, C. S. Lehmann, B. Kraessig, T. Marchenko, M. Simon, K. Ueda, K. R. Ferguson, M. Bucher, T. Gorkhover, S. Carron, R. Alonso-Mori, J. E. Koglin, J. Correa, G. J. Williams, S. Boutet, L. Young, C. Bostedt, S.-K. Son, R. Santra e D. Rolles

Di Elisa Nichelli

Fonte: www.media.inaf.it

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