E se fossimo un ologramma in 2D?
Un esperimento in corso presso il Fermi National Accelerator Laboratory, basato su interferometri laser, si propone di mettere alla prova alcune fra le più affascinanti teorie contemporanee sull’universo, fra le quali la congettura del “principio olografico”Di Marco Malaspina.

Scienziato al lavoro sull’esperimento. L’olometro utilizzerà interferometri laser gemelli per verificare se l’universo è un ologramma a due dimensioni. Crediti: Fermilab
Chi ci assicura che la realtà nella quale siamo immersi, in apparenza così tangibile, non sia sotto sotto una proiezione a due dimensioni? E che l’impressione di vivere in un universo in 3D non sia frutto di un’illusione, dovuta magari all’altissima risoluzione e al fatto di esserci calati dentro? Quasi fossimo gli inconsapevoli protagonisti di un serial TV, che si aggirano in un mondo apparentemente tridimensionale quando in realtà altro non è che una piatta matrice di pixel sullo schermo del nostro televisore? La domanda è di quelle che danno le vertigini. Soprattutto se a porsela non è un manipolo di fanatici della fantascienza, bensì fisici teorici del calibro di Leonard Susskind o il premio Nobel Gerardus ‘t Hooft, entrambi fra i proponenti del cosiddetto “principio olografico”: una congettura – già abbiamo avuto modo di accennarvi anche su Media INAF – in base alla quale un mondo a n dimensioni può essere rappresentato dal mondo a n-1 dimensioni che ne segna i confini.
La domanda è di quelle che danno le vertigini, dicevamo, ma la risposta potrebbe essere a portata di mano. E arrivare dalla campagna a ovest di Chicago, in particolare da Batavia, in Illinois, dove sorge il “cugino americano” del CERN: il Fermilab. Intitolato a Enrico Fermi, il laboratorio che fino a pochi anni fa ha ospitato il Tevatron (il rivale di LHC) è ora teatro di uno fra i più ambiziosi esperimenti di fisica mai concepiti: «Vogliamo scoprire se anche lo spazio-tempo, così come la materia, è un sistema quantistico», dice Craig Hogan, direttore del Centro per l’astrofisica particellare del Fermilab e padre della teoria del rumore olografico. «Se mai dovessimo vedere qualcosa, l’idea di spazio che ci ha accompagnato per migliaia di anni è destinata a cambiare completamente».
Per riuscirci, Hogan e colleghi hanno costruito un olometro, abbreviazione per “interferometro olografico”: un dispositivo (vedi schema qui sotto) formato da due interferometri, posti l’uno accanto all’altro, che emettono due fasci laser da un kilowatt ciascuno (una potenza equivalente a quella di 200mila puntatori laser) verso uno splitter e quindi giù lungo due bracci perpendicolari da 40 metri. La luce riflessa dei due fasci viene poi ricombinata, dando eventualmente luogo – se l’ipotesi dei ricercatori è corretta – a una figura d’interferenza: la firma del “rumore olografico”, ovvero fluttuazioni quantistiche nella trama dello spaziotempo.

Rappresentazione schematica dell’apparato sperimentale. Crediti: Fermilab
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