Buchi neri supermassicci: l’origine delle stelle iperveloci

Buchi neri supermassicci e stelle iperveloci nella Via Lattea

I buchi neri supermassicci sono tra gli oggetti più misteriosi e potenti dell’universo. Recenti studi suggeriscono che un buco nero supermassiccio nascosto nella Grande Nube di Magellano potrebbe essere responsabile dell’espulsione di stelle iperveloci verso la Via Lattea. Queste scoperte offrono nuove prospettive sulla dinamica galattica e sull’interazione tra galassie vicine, aprendo interrogativi sull’esistenza di buchi neri massicci anche nelle galassie nane..

Stelle iperveloci: viaggiatori cosmici

La maggior parte delle stelle segue orbite stabili all’interno della Via Lattea, restando legata alla sua forza gravitazionale. Tuttavia, alcune sfidano questa regola e si muovono a velocità incredibili, tanto da poter fuggire dalla galassia. Questi corpi celesti, noti come stelle iperveloci (HVS), rappresentano un vero enigma per gli astronomi.

Osservare una stella in fuga non è comune. Questi oggetti si spostano a milioni di chilometri orari, lasciandosi alle spalle la Via Lattea per perdersi nel cosmo. Alcune di queste stelle potrebbero essere il risultato di supernovae esplosive, mentre altre sembrano essere state scagliate nello spazio da potenti forze gravitazionali.

Origine extragalattica delle HVS

Nel 2006, un’indagine astronomica ha individuato 21 stelle supermassicce di tipo B. La scoperta più sorprendente è stata la loro disposizione anomala: 11 di queste stelle si trovavano raggruppate in una piccola regione vicino alla costellazione del Leone.

Tracciando il loro percorso nel tempo, gli astronomi hanno scoperto che la metà delle HVS analizzate non proviene dal Centro Galattico, come si pensava, ma dalla Grande Nube di Magellano (LMC). Questo dato rivoluziona l’idea che tutte le stelle iperveloci abbiano origine nella Via Lattea e suggerisce che galassie più piccole possano espellere stelle ad altissima velocità.

Ma cosa sta spingendo queste stelle fuori dalla LMC? Gli scienziati ipotizzano che un buco nero supermassiccio nascosto possa essere il responsabile, lanciando stelle nello spazio con una potenza tale da farle sfuggire all’attrazione gravitazionale non solo della loro galassia madre, ma anche della Via Lattea.

Il ruolo delle supernovae e dei buchi neri supermassicci

Le supernovae sono tra gli eventi più violenti dell’universo e possono generare onde d’urto potentissime, capaci di spingere stelle a velocità elevate. Tuttavia, queste esplosioni non sembrano essere abbastanza potenti da spiegare la velocità estrema delle stelle di tipo B, che viaggiano ben oltre i limiti previsti dai modelli astrofisici.

Di fronte a questa discrepanza, gli scienziati hanno formulato un’ipotesi affascinante: nella Grande Nube di Magellano (LMC) potrebbe nascondersi un buco nero supermassiccio, capace di scagliare stelle nello spazio intergalattico con una potenza senza precedenti. Se confermata, questa scoperta cambierebbe il modo in cui comprendiamo l’evoluzione delle galassie più piccole, suggerendo che anche loro possano ospitare giganti cosmici invisibili.

Il meccanismo di Hills e l’espulsione stellare

Una possibile spiegazione per la velocità delle HVS è il cosiddetto meccanismo di Hills, un fenomeno che si verifica quando due stelle in orbita ravvicinata si avvicinano a un buco nero supermassiccio.

In questa situazione, la potente gravità del buco nero interrompe la danza gravitazionale della coppia, catturando una delle stelle e scaraventando l’altra nello spazio a una velocità estrema. È un processo simile a quello di una fionda gravitazionale, ma su scala galattica.

Le simulazioni astrofisiche suggeriscono che proprio questo fenomeno potrebbe spiegare sia le velocità elevate sia le traiettorie anomale delle stelle iperveloci osservate. Se così fosse, il buco nero nella LMC non solo sarebbe reale, ma avrebbe anche un ruolo attivo nel plasmare il destino delle stelle della sua galassia.

Massa del buco nero nella Grande Nube di Magellano

Se davvero un buco nero supermassiccio sta lanciando stelle nello spazio, quanto potrebbe essere grande? Secondo le stime degli scienziati, per riuscire a generare un numero significativo di stelle iperveloci di tipo B, l’oggetto nascosto nella Grande Nube di Magellano (LMC) dovrebbe avere una massa pari a 600.000 volte quella del Sole.

Questo valore è inferiore rispetto ai 4,3 milioni di masse solari di Sagittarius A*, il buco nero al centro della Via Lattea, ma è comunque molto più grande di quanto previsto per una galassia relativamente piccola come la LMC. Se confermato, il dato indicherebbe che anche le galassie nane possono ospitare buchi neri supermassicci, un’ipotesi che fino a pochi anni fa sembrava improbabile.

Implicazioni per le galassie nane

Fino ad oggi, gli astronomi ritenevano che solo le grandi galassie potessero contenere buchi neri supermassicci. La presenza di un SMBH nella LMC metterebbe in discussione questa convinzione e potrebbe suggerire che molte altre galassie nane abbiano al loro interno oggetti simili, ancora inosservati.

Questa scoperta potrebbe riscrivere la nostra comprensione dell’evoluzione delle galassie e del loro rapporto con la Via Lattea. La Grande Nube di Magellano è una delle galassie satellite della nostra, e il suo destino sembra legato a quello della Via Lattea. Se davvero possiede un buco nero supermassiccio, questo potrebbe influenzare l’interazione gravitazionale tra le due galassie e persino avere un impatto sulla futura fusione della LMC con la nostra galassia.

Conclusione

L’identificazione di stelle iperveloci provenienti dalla Grande Nube di Magellano offre una prova indiretta ma significativa dell’esistenza di un buco nero supermassiccio nascosto. Se confermata, questa scoperta potrebbe rivoluzionare il modo in cui comprendiamo la formazione e l’evoluzione delle galassie nane.

Gli studi futuri, basati su osservazioni più dettagliate e nuove simulazioni, potranno fornire ulteriori dettagli su questo enigmatico colosso cosmico, che potrebbe aver lanciato stelle a velocità incredibili verso le profondità dell’universo.

Lo studio è stato inviato all’Astrophysical Journal ed è attualmente disponibile come preprint su ArXiv.org .

Redazione

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