Sono stati creati i primi embrioni chimera tra essere umano e scimmia

Se per alcuni lo sviluppo di embrioni chimera essere umano-scimmia rappresenta un passo avanti per la medicina rigenerativa, gli esperti (e non solo) si interrogano sul reale valore scientifico e sulla liceità etica della ricerca
Un altro passo avanti nell’ambito delle conoscenze sulle cellule staminali e della medicina rigenerativa. Così i ricercatori del Salk Institute for Biological Studies di La Jolla, California, definiscono il successo del loro lavoro, appena pubblicato sulla rivista Cell: per la prima volta degli embrioni di macaco contenenti cellule staminali umane sono sopravvissuti e si sono sviluppati in laboratorio per 19 giorni. Come era prevedibile, la ricerca sta facendo discutere, e i dubbi riguardano sia l’ambito scientifico che etico.
Embrioni chimera
In linea di principio quanto realizzato dai ricercatori statunitensi insieme ai colleghi cinesi non è nulla che non sia già stato fatto in passato. Embrioni chimera tra essere umano e altre specie (suini, pecore, topi) già esistono e sono utilizzati in ricerca. Questa però è la prima volta che delle cellule staminali umane (per la precisione cellule staminali pluripotenti indotte, ossia cellule umane adulte che vengono spinte in laboratorio a riacquisire la capacità di differenziarsi in vari tipi cellulari, come le cellule embrionali) vengono impiantate in embrioni di primati non umani e che alcuni di questi ibridi sopravvivono fino a 19 giorni di sviluppo in laboratorio.
Gli scienziati in particolare hanno impiantato 25 cellule staminali umane in 132 embrioni di macaco (Macaca fascicularis) a 6 giorni di sviluppo (uno stadio chiamato blastocisti). Gli embrioni sono stati lasciati crescere in laboratorio e le cellule umane si sono distribuite in maniera diversa in ciascuno, integrandosi e moltiplicandosi all’interno dei vari tessuti embrionali. Tuttavia, col passare dei giorni, tanti si sono deteriorati: a 11 giorni ne rimanevano 91, a 17 giorni 12, e dopo 19 giorni ne erano rimasti vivi solo 3.
Per gli autori dello studio si tratta comunque di un successo, sia perché dimostra che le cellule di derivazione umana riescono a sopravvivere e a moltiplicarsi in buona misura in un embrione di primate (specie più vicina all’essere umano rispetto alle altre utilizzate in passato) sia perché i loro esperimenti di analisi del trascrittoma (cioè di tutti gli rna messaggeri che trasferiscono l’informazione per la sintesi di proteine) mostrano una sorta di integrazione, di dialogo, tra le cellule umane e quelle animali.
Il lavoro, sostengono, pone le basi per lo sviluppo di modelli di laboratorio migliori di quelli attuali per capire meglio le prime fasi di sviluppo embrionale nell’essere umano, ma anche per testare farmaci e magari in futuro far crescere organi umani per i trapianti.
I dubbi scientifici
Alcuni esperti, però, sono quantomeno incerti se considerare l’esperimento un completo successo. Alcuni fanno notare che la sopravvivenza degli embrioni chimera è stata molto bassa, il che potrebbe significare che qualcosa è andato storto.
Altri sottolineano come per ora i ricercatori non abbiano pieno controllo su dove le cellule staminali umane vadano a impiantarsi all’interno dell’embrione. Aspetto che però è considerato molto importante sia in vista di un effettivo utilizzo in ambito scientifico, sia per motivi etici, per evitare l’integrazione nel sistema nervoso dell’embrione o nelle gonadi.
Inoltre non è possibile sapere il destino delle cellule staminali umane qualora l’embrione chimerico venisse lasciato sviluppare in vivo, nell’utero di un animale: sopravviverebbero?
Le questioni etiche
Sebbene la ricerca del Salk Institute si sia mantenuta all’interno delle linee guida bioetiche vigenti (tutti gli esperimenti sono stati condotti ex vivo e nei limiti di tempo imposti), inevitabilmente fa sorgere domande, anche in vista di futuri progressi scientifici.
I più critici si chiedono quanto sia lecito, a fronte di risultati scientifici incerti e dell’esistenza di altri approcci di studio, impiegare primati non umani per queste ricerche. Inoltre, aggiunge qualcuno, non è nemmeno tanto conveniente vista la scarsa diffusione dei primati come modelli animali per via delle difficoltà di gestione e delle restrizioni in molti paesi.
In un editoriale pubblicato sempre da Cell, gli autori mettono in guardia sulla possibilità che embrioni chimera di questo tipo vengano impiantati in utero in futuro. Un’eventualità che va presa fin d’ora in considerazione e che i comitati competenti e le legislazioni devono pensare a regolamentare.
Trattandosi di temi che hanno un forte impatto sull’opinione pubblica, infine, l’auspicio è quello di un ampio dibattito non solo tra esperti, ma allargato. Come andrà potrebbe ripercuotersi sul sentimento di fiducia nella scienza e nelle autorità che ci governano.
Foto di belindalampcc da Pixabay
Mara Magistroni
Fonte: www.wired.it