La calvizie maschile? Colpa della… mamma!

Ci sono novità importanti sullo studio dello sviluppo della calvizie nell’uomo: i ricercatori dell’università di Edimburgo hanno infatti analizzato il Dna di oltre 50 mila persone per capire le cause e i possibili rimedi a questa condizione che affligge milioni di uomini.

Finora c’era una sensazione, ora dalla scienza arriva la conferma ulteriore: la calvizie è una patologia complicata e multiforme, anche più del previsto, perché non è provocata da una “manciata” di geni, ma dall’interazione di addirittura 287 regioni del genoma. Ma questa è solo una delle interessanti scoperte effettuate dal team di ricerca dell’università scozzese di Edimburgo coordinato da Saskia Hagenaars e David Hill, che potrà aiutare a stabilire se, quando e in che modo un uomo rischia di perdere i capelli.

Enzimi e ormoni. Finora, infatti, gli scienziati avevano approfondito soprattutto il complesso di concause che potevano originare la calvizie, concentrandosi però sugli ormoni e sullo stile di vita; leggendo l’approfondimento su Hairclinic, in particolare, si scopre il ruolo dell’enzima 5-alfa reduttasi, che insieme alla scorretta conversione di testosterone in diidrotestosterone riduce la crescita dei capelli rendendoli più fini, corti e maggiormente tendenti a spezzarsi. Motivi che spiegano anche la scarsa utilità di trattamenti basati sulla sola chirurgia per tentare di risolvere il problema della caduta dei capelli.

287 geni coinvolti. Il nuovo studio britannico, invece, ha posto l’attenzione sul Dna di un campione di 52 mila persone, osservando nel dettaglio le regioni genetiche che sono responsabili dello sviluppo della calvizie, che colpisce all’incirca il 70% degli uomini. La scoperta più interessante, come si legge nell’articolo pubblicato sulla rivista Plos Genetics, è che gran parte di questi geni si trova nel cromosoma X, che come noto gli uomini ereditano per via materna.

L’italiano nel team. In questa importante scoperta c’è anche un pizzico d’Italia, perché il principal investigator dello studio, che come detto è diretto dal professore David Hill e da Saskia Hagenaars, giovane studente dell’University of Edinburgh, è Riccardo Marioni, componente del Centro di Genomica e Medicina Sperimentale dell’ateneo scozzese. In una intervista all’Ansa, il professor Marioni spiega come questa ricerca è “il più grande lavoro genetico per la comprensione della calvizie maschile e non ci stupisce il fatto di aver trovato così tanti geni associati con il problema”.

Il ruolo delle mamme. Entrando più nel dettaglio, Marioni si è soffermato anche sul ruolo del cromosoma X, quello che gli uomini ereditano dalla madre: una scoperta che quindi rivela che i “geni della madre forniscono un contributo considerevole alla calvizie” dei figli maschi. Un passo in avanti importante, perché l’identificazione delle 287 regioni del genoma umano coinvolte nella perdita dei capelli e l’incidenza dell’eredità materna potrebbe portare anche nel breve periodo allo sviluppo di nuovi farmaci contro questa condizione e, in una prospettiva che invece si basa sul lungo termine, a uno screening per chi presenta un maggior rischio di calvizie.

Analisi del Dna. In realtà, già attualmente sono disponibili in commercio specifici test genetici che aiutano a prevedere la possibile caduta di capelli ma, come spiegano i ricercatori scozzesi, si deve lavorare ancora molto prima di riuscire a realizzare previsioni davvero accurate sulle singole persone. Ma, d’altra parte, la velocità dei progressi scientifici continua a progredire, come osserva Stefano

Gustincich, dell’Istituto Italiano di Tecnologia, ricordando come “traguardi come questi, sono molto interessanti ed erano impensabili fino a pochi anni fa”.

Progressi futuri. Secondo l’esperto di tecnologia, questi studi e queste speranze per il trattamento della calvizie, un problema che affligge da sempre l’uomo, “sono stati resi possibili solo grazie alla creazione di banche dati genomiche molto grandi, alla sempre maggiore finezza degli studi, e all’abbattimento dei costi del sequenziamento del Dna”.

Angelo Vargiu

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