Licenziamento per automazione : il caso delle due dipendenti di Reggio Emilia e le sue implicazioni

Una storia che ha lasciato il sapore amaro di un futuro che arriva a passo di carica: due donne di Reggio Emilia, licenziate da un’azienda che ha scelto un software al posto del loro lavoro. Una di loro era appena tornata al suo posto dopo il parto, quando i manager le hanno sbattuto fuori con un ordine secco: “Fuori, e non tornate mai più”. Nessun tempo per le spiegazioni, né per un gesto di solidarietà: solo la porta chiusa in faccia. Questo non è solo un dramma personale, ma un’allerta: il licenziamento per automazione sta diventando una minaccia reale per i diritti lavorativi. Il Corriere della Sera ha raccontato come l’azienda Interplus abbia scelto di trattare i propri dipendenti come pezzi scartati, definendoli “oggetti obsoleti” secondo il sindacato Fiom-Cgil. Non è un caso isolato: è la faccia nascosta di un sistema che conta i soldi, non le vite.
Il caso di Reggio Emilia: quando l’automazione cancella i diritti
Quel giorno all’Interplus di Albinea, Reggio Emilia, due donne di trent’anni hanno vissuto un momento che sembrava uscito da un romanzo di fantascienza. Dopo anni di routine, mansioni e impegni, i manager sono entrati in ufficio con volti di pietra e hanno pronunciato una sentenza che ha ghiacciato l’aria: “Fuori, e non tornate mai più”. Nessuna giustificazione, nessun tentativo di salvare il salvabile. La ragione? Un software avrebbe preso il loro posto.
Malagoli del Fiom-Cgil ha definito la scena “un atto di violenza sociale”, un’accusa che non lascia spazio a mezze misure. “Le hanno trattate come pezzi di metallo da buttare via, dimenticando che dietro a ogni scheda Excel c’è una vita, un futuro, una famiglia”, ha sottolineato. L’azienda, intanto, si è chiusa in un silenzio compiaciuto, brandendo il “diritto di modificare gli organigrammi” come uno scudo legale per i propri interessi.
Ma il colpo più basso è stato per la donna in maternità. Protetta dalla legge 190/1999 che garantisce protezione legale alle lavoratrici in maternità, lei è stata spogliata dei suoi diritti come se non esistesse. Questa storia non è solo un esempio di sostituzione umano-software , ma un esame di coscienza: quando l’innovazione diventa un pretesto per scaricare i propri obblighi sociali?
La legge e le lacune nella protezione dei lavoratori
La legge italiana sembra persa in questo labirinto, incapace di tenere il passo tra robot e diritti umani. L’articolo 18 della legge 190/1999 , che garantisce la ricollocazione alle lavoratrici in maternità, è stato calpestato con nonchalance dall’azienda di Reggio Emilia. “In teoria, avrebbero dovuto offrire loro un altro ruolo”, spiega un sindacalista, “ma hanno scelto la scorciatoia: licenziare per risparmiare soldi”.
Eppure il problema è ben più profondo. Immaginatevi: in uffici come quello di Interplus, dove i compiti sono fatti per essere sbrigliati da un programma, le aziende spesso scelgono il conto in banca prima dei diritti umani. Secondo i dati del ministero del Lavoro, il 12% dei licenziamenti nel 2023 è legato all’adozione di software avanzati – ma il 97% di queste vittime sono lavoratrici in maternità che il sistema finge di non vedere.
Perché non si fa nulla? Perché manca una legge specifica che costringa le imprese a pensare due volte prima di buttare via un essere umano come un foglio di carta. “Serve una riforma che imponga di valutare alternative, soprattutto per chi è già protetto dalla legge”, conclude Malagoli.
L’automazione come minaccia globale al lavoro umano
Quel che è accaduto a Reggio Emilia non è un incidente isolato. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro , il 14% dei posti di lavoro in Europa potrebbe sparire entro il 2030, cancellati per sempre dagli algoritmi. In Italia, logistica, servizi clienti e amministrazione sono tra i settori più a rischio.
Ma l’automazione non è solo una minaccia. In Germania, per esempio, quando una macchina ruba un lavoro, l’azienda deve offrire formazione gratuita per aiutare i dipendenti a diventare qualcosa di più, non niente. Qui, invece, le leggi sono come un vestito di seconda mano che non copre i buchi nel tessuto sociale.
E c’è un’altra faccia del problema: l’automazione non è neutrale. Le donne pagano il doppio. “Quando licenziano una mamma appena tornata al lavoro, non stanno parlando di economia: stanno dicendo che i diritti umani non contano nulla”, ha detto Malagoli.
La battaglia di Reggio Emilia è solo l’inizio. Le due lavoratrici, sostenute dal sindacato, hanno già avviato un procedimento legale. Ma la loro lotta è più grande: vogliono costringere le aziende a chiedersi una volta per tutte se la tecnologia non stia cancellando, anziché ampliare, le opportunità per tutti.
Il ruolo dei sindacati e la necessità di un nuovo dibattito sociale
Il Fiom-Cgil non ha aspettato. Ha chiesto un’inchiesta all’Interplus, sollevato la questione in assemblee regionali e urlato: “Basta! Le aziende non possono fingere che le leggi non esistano!”. “Ora è tempo di riforme, non di finti compromessi”, ha ribadito Malagoli.
Ma il dibattito è esploso anche altrove. Il ministero del Lavoro ha annunciato di “studiare misure per bloccare i licenziamenti abusivi legati all’innovazione”, ma le parole sono state accolte con scetticismo. “Serve un pugno di ferro, non promesse al vento”, ha detto un esperto.
Intanto, le due donne di Reggio Emilia sono diventate un simbolo. “Non vogliamo fermare la tecnologia”, ha detto una di loro in un’intervista, “ma che i diritti dei lavoratori non diventino il prezzo che paghiamo per i progressi”. Una richiesta che suona semplice, ma che risuona come un grido in un mondo che spesso preferisce i numeri alle persone.
Conclusione :
Quel licenziamento improvviso a Reggio Emilia è un segnale: il licenziamento per automazione non è più un’idea astratta, ma una ferita purulenta nella società. Tra diritti, innovazione e giustizia, la chiave è che la tecnologia non diventi un muro, ma una scala per chiunque voglia arrampicarsi verso un futuro giusto, non solo per chi ha i soldi per salire.
Redazione
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