Il cambiamento climatico porta a un rallentamento della rotazione terrestre
Il riscaldamento globale, facendo sciogliere i ghiacciai, porta – secondo uno studio uscito questa settimana su Nature – a un rallentamento della rotazione terrestre, contrastando il trend opposto che si evidenziava ormai da qualche anno. E ritardando di almeno tre anni la necessità (e il rischio) di dover fare ricorso – per la prima volta – ai secondi intercalari negativi. Con un commento di Patrizia Tavella, direttrice dell’International Bureau of Weights and Measures
L’uomo cambia il clima, e il clima cambia il pianeta. Fra le conseguenze globali dell’emergenza climatica, ce n’è una sorprendente: la decelerazione della rotazione terrestre. Secondo uno studio di Duncan Agnew, geofisico della University of California San Diego, pubblicato questa settimana su Nature l’effetto – scusate il gioco di parole – è il rallentamento più veloce di sempre. Tanto che posticiperebbe di circa tre anni una rischiosa ma inevitabile operazione: quella di togliere un secondo alla durata di un giorno, introducendo il cosiddetto leap second negativo, un provvedimento inedito ma già nell’aria da alcuni anni a causa della recente tendenza del nostro pianeta a ruotare più velocemente.
Cominciamo mettendo un po’ d’ordine. Anzitutto: chi stabilisce la durata del giorno? La rotazione terrestre, direte voi. Sì, ma non solo. Molte attività come le comunicazioni, l’informatica di rete, o i mercati finanziari, richiedono tempi coerenti, standardizzati e precisi. Richiedono, in particolare, la sincronizzazione degli orologi a livello globale, resa possibile dai cosiddetti orologi atomici, nei quali il tempo è scandito dalle transizioni elettromagnetiche degli atomi di cesio.
Da un lato la rotazione terrestre, dunque, dall’altro la convenzione umana. Da un lato, il tempo universale (Ut1), dall’altro il tempo coordinato universale (Utc). Con una differenza, però: se il secondo – l’Utc, quello scandito dagli orologi atomici – è preciso e costante, la rotazione terrestre lo è un po’ meno.
«La rotazione della Terra è ancora ricca di sorprese e di fenomeni non compresi quindi si può osservare la differenza rispetto al tempo atomico, ma non si riesce a predire a lungo termine», dice a Media Inaf Patrizia Tavella, direttrice dell’International Bureau of Weights and Measures (l’ente responsabile, fra le altre convenzioni metrologiche, dell’Utc) e autrice, sempre sullo stesso numero di Nature, di un articolo di commento allo studio di Agnew. «In questi ultimi anni la Terra sta accelerando meno del previsto, dice Agnew, e ci stiamo chiedendo se un secondo sarà da togliere per la prima volta. Non è facile fare prove su larga scala».
Fino a oggi, infatti, l’utilizzo dei leap second – in italiano, secondo intercalare – è sempre stato in positivo. La tendenza del nostro pianeta, fino a pochi anni fa, era infatti quella di rallentare la rotazione, e l’aggiunta di un secondo in un giorno consentiva di riallineare il tempo della rotazione terrestre con quello coordinato universale. La regola, stabilita dall’International Earth Rotation and Reference Systems Service, era che lo scarto fra Ut1 e Utc non superasse i 9 decimi di secondo, e il secondo intercalare era la soluzione da inserire non appena questo scarto veniva superato. Ecco allora che, per compensare il fatto che la durata del giorno si andava progressivamente allungando, dal 1972 a oggi sono stati inseriti in tutto 27 leap second, riallineando così il tempo coordinato universale a quello scandito dagli orologi atomici. Come dicevamo, il calendario d’inserimento non è fissato a priori, ma varia in base alle necessità. Dal 1972 al 1979, ad esempio, sono stati inseriti nove secondi intercalari. Ma da qualche anno non è più stato necessario: l’ultima volta che si è dovuto far ricorso al secondo intercalare è stata nel 2016. Da allora più niente, anzi: dal 2020 la Terra, come mostra il grafico qui sopra, sembrerebbe aver aumentato la propria velocità di rotazione al punto da aprire le porte a uno scenario correttivo inedito: quello, appunto, di dover togliere un secondo, anziché aggiungerlo.
Ma quando? I primi calcoli portavano a prevedere che il ricorso al leap second negativo sarebbe avvenuto attorno al 2026. Poi però qualcosa è cambiato. Qualcosa che ha a che fare con il cambiamento climatico, dice lo studio di Agnew. Lo scioglimento dei ghiacciai in Groenlandia e Antartide causa una ridistribuzione delle masse d’acqua verso l’equatore. E di conseguenza – un po’ come accadrebbe a una ballerina che piroettando su se stessa allargasse le braccia – la velocità di rotazione riprende a rallentare, allontanando così lo spettro dell’utilizzo del leap second negativo. Di quanto? Di circa tre anni: stando ai calcoli di Agnew, il primo giorno in cui la differenza fra Utc e Ut1 supererà il secondo cadrà nel 2029. Concedendo così almeno tre anni di tempo in più per studiare e valutare meglio le conseguenze di quella che potrebbe non essere un’operazione indolore.
«Un leap second negativo non è mai stato implementato. Ci sono sistemi che non sono stati progettati per affrontare questa situazione e il rischio di fallimento è sicuramente una preoccupazione per tutti gli utenti e i metrologi», osserva infatti Tavella che, al di là della preoccupazione, si mostra anche cauta nell’accettare le conclusioni dello studio di Agnew. «Purtroppo, gli esperti di rotazione terrestre e i diversi documenti disponibili non forniscono un parere chiaro e condiviso sulla previsione del prossimo secondo intercalare. A quanto mi risulta, possiamo osservare la rotazione terrestre, ma le sue variazioni sono dovute a cause troppo complesse, non siamo ancora in grado di prevederle con precisione e con un preavviso che vada oltre i sei mesi».
Secondo Tavella, inoltre, la questione non si pone solamente in termini di se e quando introdurre un secondo intercalare negativo, ma anche di come introdurlo. Negli anni, infatti, non tutti hanno agito allo stesso modo, rendendo necessaria una nuova presa di posizione. «C‘è chi i secondi intercalari non li applica, c’è chi spalma lo scarto applicando una correzione più lenta o più veloce», spiega, «e tutto ciò crea – nei giorni dei secondi intercalari – una grande confusione su quale sia l’ora effettiva. Per questo motivo, dopo 20 anni di discussioni, la Conferenza generale dei pesi e delle misure (Cgpm) del 2022 ha deciso che, dal 2035 se non prima, l’Utc continuerà sì a essere legato alla rotazione terrestre (Ut1), ma con una tolleranza maggiore».
«I dettagli relativi alla nuova tolleranza, la data esatta di attuazione e la procedura», continua Tavella, «saranno decisi alla prossima Cgpm del 2026. Gli esperti di metrologia stanno lavorando per preparare una proposta che possa rispondere alle esigenze degli utenti e al corretto utilizzo degli standard metrologici internazionali. Anche l’Unione internazionale delle telecomunicazioni, responsabile della trasmissione radio dei segnali di tempo e frequenza, ha approvato questa decisione. Negli anni ’70, per la navigazione celeste, era necessario uno stretto accordo tra l’Utc e la rotazione terrestre. Oggi possiamo estendere questa tolleranza e sarà quasi impossibile percepire una differenza di pochi minuti tra l’Utc e la posizione della Terra. In Europa si usa l’ora dell’Europa centrale dalla Polonia alla Spagna e il Sole non è esattamente sulla testa di tutti noi a mezzogiorno. In Cina si usa l’ora di Pechino in tutto il Paese, mentre la Cina si estende su 5 fusi orari».
Insomma, sarebbe solo una questione di convenzione, e non una necessità reale di fronte agli svantaggi che introdurre un leap second negativo potrebbe portare. Il tutto deve essere comunque deciso entro il 2035 e – è il caso di dirlo – senza perdere altro tempo. Per questo, Tavella conclude sottolineando «la necessità di modificare la pratica del leap second, che oggi rappresenta un rischio di anomalie che possono avere un impatto globale, molto più che il disagio emotivo di una maggiore tolleranza tra l’Utc e la rotazione terrestre».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “A global timekeeping problem postponed by global warming“, di Duncan Carr Agnew
- Leggi su Nature l’articolo di commento “Melting ice solves leap-second problem — for now“, di Patrizia Tavella e Jerry Mitrovica
Valentina Guglielmo
Fonte: www.media.inaf.it