I laureati italiani sono “troppo istruiti” per lavorare

Dopo un’intera carriera universitaria proseguita con ottimi risultati, tirocini formativi e voti eccellenti, in Italia un laureato su tre risulta troppo istruito per ottenere la posizione lavorativa desiderata una volta finiti gli studi. Una situazione non proprio entusiasmante. Ma quali sono i dati di questo fenomeno?
La laurea è ancora utile per trovare lavoro ma molti giovani laureati fanno un lavoro che sottovaluta le competenze acquisite negli studi. La percentuale di studenti italiani che completano gli studi, sia triennali che corsi di laurea specialistica come quelli di Unicusano, è molto alta rispetto alle opportunità lavorative che si ritrovano a poter valutare una volta completato il loro percorso.
Secondo un’indagine Istat, analizzando i lavoratori laureati tra i 25 e i 34 anni (1,1 milioni) e quelli diplomati tra i 20 e i 24 (678mila), scopriamo che 437mila giovani con un titolo di studio più elevato rispetto a quello richiesto per svolgere il lavoro per il quale sono stati assunti.
Si tratta del 18% dei diplomati e del 28% dei laureati: tra i primi la sovraistruzione è più marcata tra gli uomini (riguarda il 24% dei maschi contro il 9% delle femmine), mentre tra i secondi accade il contrario (il 30,5% delle laureate è iperqualificato rispetto al 20,1% dei maschi).
Numeri che lasciano trasparire le conseguenze della crisi economica, il gruppo dei “troppo istruiti” si è infatti allargato rispetto sia ai 372mila giovani del 2008 sia ai 398mila del 2015.
Molti giovani laureati rischiano di ritrovarsi con una laurea che non serve a molto, perché riescono a trovare un lavoro sotto qualificato rispetto ai loro studi e al loro rendimento universitario, e quindi, per andare avanti, si accontentano di semplici lavoretti con la speranza di trovare qualcosa di meglio in futuro. Questo fenomeno prende il nome di gig economy, l’economia dei “lavoretti” che coinvolge tra i 600 e i 750mila lavoratori in Italia.
Secondo la Fondazione Debenedetti, tra i gig worker il 18% ha un diploma di liceo, il 10% una laurea triennale, il 14% una magistrale e il 6% un master o addirittura il dottorato di ricerca.
Il fenomeno vale soprattutto per chi si specializza in lettere e filosofia, in storia, archeologia, lingue straniere, sociologia, laureati in scienze politiche, psicologia e giurisprudenza. Per chi si specializza in queste facoltà, infatti, è stato constatato che, in media, nei primi anni dopo il titolo oltre un terzo di quelli che lavorano trovano sbocchi per cui la laurea non è per niente indispensabile.
Un altro gruppo di laureati, invece, ha scelto la strada estera, trasferendosi in paesi Europei o oltre oceano per ottenere posizioni lavorative degne del loro titolo di studio, in aziende qualificate che possano evidenziare le loro capacità.
L’Italia, sicuramente, sta compiendo degli sforzi per accrescere il livello di istruzione della popolazione, un passo fondamentale per favorire la competitività del sistema, ma sarebbe necessario che anche le imprese italiane inizino a impostare una strategia improntata all’innovazione, offrendo posizioni lavorative qualificate, in grado di valorizzare il potenziale di competenze e creatività dei giovani laureati.