I tardigradi sono “immortali” perché rubano il Dna a piante, batteri e funghi?
Il 17,5% dei geni dei tardigradi sono costituiti da materiale estraneo incorporato
I Tardigradi sono animali che prosperano negli ambienti estremi. Conosciuti anche come o anche water bears o moss piglets, questi microscopici invertebrati acquatici sembrano essere immortali: sopravvivono al congelamento, all’ebollizione e addirittura nello spazio esterno. Un tardigrado completamente disseccato può resuscitare anni dopo semplicemente aggiungendo acqua. Questi singolari essi viventi “liofilizzabili” vivono in tutti i continenti, compresa l’Antartide, popolando le e più profonde fosse oceaniche, i deserti più caldi e le cime assiderate dell’Himalaya.
Come se non bastasse, ora gli scienziati hanno scoperto che tardigradi hanno anche un’altra caratteristica eccezionale che li rende unici e che forse spiega parte del segreto della loro immortalità: il loro genoma contiene più DNA estraneo di qualsiasi specie di animali conosciuta. Invece di ereditare tutti i loro geni dai loro antenati, parte del corredo genetico dei tardigradi proverrebbe da piante, batteri, funghi e archaeans.
L’eccezionale scoperta è descritta nello studio “Evidence for extensive horizontal gene transfer from the draft genome of a tardigrade” pubblicato su Pnas da un team delle università della North Carolina e dello Utah e di Cofactor Genomics, che sottolineano: «Nonostante gli scienziati ne siano stati affascinanti da oltre 200 anni, a livello molecolare si conosce poco dei tardigradi, animali microscopici resistenti a sollecitazioni estreme». Il team statunitense ha analizzato il genoma di un tardigrado ed ha scoperto che « Circa un sesto dei geni nel genoma del tardigrado sono risultati essere acquisiti attraverso trasferimento orizzontale, una proporzione quasi il doppio della percentuale di precedenti casi conosciuti di extreme horizontal gene transfer (HGT) negli animali. I geni estranei hanno avuto un impatto nella composizione del genoma dei tardigradi: integrando, espandendo e sostituendo famiglie di geni endogeni, tra cui le famiglie coinvolte nella tolleranza agli stress».
I ricercatori evidenziano che questi risultati «ampliano le recenti scoperte sul fatto che l’HGT è più frequente negli animali di quanto precedentemente sospettato e suggeriscono che gli organismi che sopravvivono a sollecitazioni estreme potrebbero essere predisposti all’acquisizione di geni estranei».
Il leader del team di rcerca, Thomas Boothby, del dipartimento di biologia dell’università della North Carolina – Chapel Hill, spiega che «Quando la maggior parte della gente pensa della diversità della vita e al flusso delle informazioni genetiche, si immagina un albero con grossi rami che generano quelli più piccoli, ma senza alcuna connessione tra le articolazioni. Stiamo cominciando a renderci conto che, invece che all’albero della vita, potrebbe essere più opportuno pensare alla rete della vita».”
Il team di Boothby studiava il genoma del tardigrado nella speranza di scoprire le basi delle strategie di sopravvivenza estreme di queste creature. Per catalogare ogni gene il team statunitense ha prima estratto e poi sequenziato pezzi di DNA di migliaia di tardigradi, poi, utilizzando un programma al computer, ha ricucito le sequenze di nuovo insieme per produrre l’intero codice genetico del tardigrado.
«Quando ci siamo riusciti – spiega ancora Boothby – abbiamo visto subito che c’erano un sacco di geni che sembrava che non provenissero dagli animali. La nostra reazione istintiva è stata quella che avessimo ncasinato qualcosa e che avessimo aver contaminato il nostro campione».
Allora il team ha utilizzato la reazione a catena della polimerasi, un metodo che ingrandisce le regioni target del materiale genetico solo se corrispondono a specifici primers, per vedere se potevano amplificare geni animali e batterici come singole unità, cosa possibile solo se fossero fisicamente collegati all’interno dello stesso genoma. «Lo abbiamo fatto per oltre 100 geni, con il 98% di successo», dice Boothby.
Quindi la lettura del genoma era corretta e il team ha quindi ricostruito l’ascendenza evolutiva delle specifiche sequenze geniche. Questo ha confermato che quelli che sembrava geni estranei in realtà erano geni sviluppati da tardigradi stessi. Boothby aggiunge: «I risultati ci hanno detto abbastanza inequivocabilmente che i geni che sembrano stranieri, in realtà provengono da non-animali».
In tutto, il 17,5% dei geni dei tardigradi sono costituiti da materiale estraneo. La maggior parte di questi strani geni hanno origini batteriche: migliaia di specie sono rappresentate all’interno del corredo genetico del tardigrado. Molti di questi geni sono noti per svolgere un ruolo nella tolleranza allo stress nei loro proprietari originali.
Ang drew Roger, un biologo canadese della Dalhousie University che non ha partecipato allo studio, ha detto: «Penso che i risultati siano estremamente sorprendenti. Che un animale possa acquisire una così gran parte dei suoi geni da fonti esterne è sorprendente e senza precedenti».
In alcuni casi, i geni estranei hanno effettivamente sostituito quelli dei tardigradie, mentre in altri i tardigradi mantenuto le loro versioni ma hanno incorporato copie singole o multiple da una o più specie batteriche. «Ipotizziamo che questo non sia stato un evento unico, ma probabilmente sia ancora in corso e può ancora accadere anche oggi», evidenzi Boothby.
Rispetto al tardigradi, i genomi di altri animali, compreso l’uomo, contengono pochissimo materiale estraneo. Fino ad ora, i rotiferi, altri microscopici animali acquatici, detenevano il record con l’8 – 9%. Per tardigradi e rotiferi, la forte dose di geni estranei probabilmente svolge un ruolo significativo nel conferire loro capacità di sopravvivenza superiori: «Se possono acquisire il DNA da organismi che già vivono in ambienti stressanti, possono essere in grado di impossessarsi di alcuni degli stessi trucchi», aggiunge Boothby. Ma come i tardigradi siano riusciti a mettere insieme tanto materiale genetico estraneo rimane un mistero.
Boothby e i suoi colleghi sospettano che la capacità dei tardgradi di disseccarsi completamente e poi resuscitare potrebbe spiegare molte cose: Quando i tardigradi essiccano, i loro genomi si frammentano, quando arriva l’acqua a farli rinascere, e membrane che circondano le cellule rimangono permebili per un po’ e, mentre le cellule lavorano febbrilmente a riparare il loro genoma “liofilizzato”, possono accidentalmente assumere altro DNA dall’ambiente.
Roberto Bertolani, uno zoologo evoluzionista dell’università di Modena e Reggio Emilia, considerato uno dei maggiori esperti di tardigradi del mondo, ha detto: «Questo documento conferma l’importanza dello studio di tutto il genoma, qui applicato ad un modello animale insolito, ma molto interessante e spesso trascurato. Un punto interessante che gli autori sottolineano è la possibile relazione tra l’essiccazione, la permeabilità della membrana e le rotture del DNA che possono predisporre questi animali ad incorporare e integrare molti geni estranei».
Per ora si tratta solo di un’ipotesi e ì Boothby prevede di continuare le ricerche per rispondere a questa e ad altre domande. Il suo lavoro con queste eccezionali creature potrebbe persino a far vive re meglio gli esseri umani: studiare i geni dei tardigradi potrebbe aiutare a sviluppare farmaci e vaccini che non devono più essere mantenuti al freddo ma essere liofilizzati e “resuscitati” sul posto, in un dispensario medico rurale o zona di crisi.
Fonte: www.greenreport.it
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