Creare un parco nazionale del pleistocene: revival degli animali preistorici

Il primo parco vivente di animali preistorici In Russia, la repubblica di Jacuzia ha annunciato che entro il 2028 nascerà il Parco nazionale del Pleistocene, dove torneranno a vivere mammut, rinoceronti lanosi, leoni delle caverne e altri animali estinti grazie a un’operazione detta di “de-estinzione” o “risurrezione biologica”.
Il segreto del permafrost della Jacuzia
Dove è stato trovato il DNA dei mammut La Jacuzia russa è considerata il luogo perfetto per le ricerche sul DNA degli animali preistorici. Dal suo permafrost sono emersi l’80% degli animali del Pleistocene trovati congelati. Le parti molli di questi animali, come muscoli, pelle e organi interni, sono state eccezionalmente conservate grazie alle basse temperature costanti del permafrost. Questo straordinario livello di conservazione ha permesso agli scienziati di ottenere la mappatura completa del DNA di diverse specie preistoriche. Tale scoperta ha aperto la strada alla possibilità di clonare e riportare in vita questi animali estinti, offrendo una finestra sul passato remoto del nostro pianeta.
Esempi di ritrovamenti eccezionali
Scoperte straordinarie Tra i ritrovamenti più eccezionali, vi sono diversi mammut congelati, tra cui la famosa Ljuba, una cucciola scoperta nel 2007 da un pastore di renne. Ljuba è stata trovata in uno stato di conservazione quasi perfetto, con il suo corpo lungo appena 130 cm e pesante una cinquantina di chili. Questa scoperta ha fornito materiale genetico prezioso per le ricerche sulla clonazione. Altri esempi notevoli includono i cuccioli di leone delle caverne, Uyan e Dina, ritrovati nell’estate del 2015. Questi felini preistorici erano in uno stato di conservazione sorprendente, con il pelo ancora lucente e i tratti distintivi ben visibili. I ricercatori dell’Accademia delle Scienze Russa hanno descritto questi ritrovamenti come “i felidi preistorici meglio conservati al mondo”.
La tecnica di clonazione
Come si crea un mammut da zero La clonazione si basa sulla creazione in vitro dell’embrione dell’animale estinto. Si parte dalla cellula uovo di una specie affine vivente, nella quale viene inserito il nucleo dell’estinto, contenente quasi tutte le informazioni genetiche necessarie. L’embrione ottenuto viene poi impiantato in una madre surrogata, come ad esempio un elefante asiatico per il mammut. Questo processo, sebbene complesso, rappresenta un passo fondamentale per la de-estinzione di specie scomparse da millenni.
Esperimenti di clonazione
Animali preistorici già clonati La clonazione ha già avuto successo con specie attuali come il gaur e il banteng, dimostrando la fattibilità del processo. Un gaur clonato è nato anni fa, ma purtroppo morì due giorni dopo la nascita. Tuttavia, un banteng clonato nel 2006 vive ancora oggi allo zoo di San Diego. Questo banteng fu creato trasferendo il DNA estratto dall’epidermide congelata di un banteng morto nel 1980 in una cellula uovo di una vacca d’allevamento. Dei 30 embrioni ottenuti e impiantati, 16 gravidanze ebbero successo, con due portate a termine. Uno dei vitelli cloni morì prematuramente, ma l’altro continua a prosperare, dimostrando la possibilità di far rivivere specie estinte.
Il ruolo ecologico del Parco nazionale del Pleistocene
Benefici ambientali della de-estinzione L’obiettivo del Parco nazionale del Pleistocene è ricostruire l’ecosistema dell’era glaciale. Questo ambizioso progetto prevede la reintroduzione di mammut e altri animali preistorici, con l’intento di mantenere il terreno freddo e prevenire lo scioglimento del permafrost. Limitando lo scioglimento del permafrost, si potrebbe anche ridurre l’effetto serra, poiché il terreno freddo impedisce il rilascio di grandi quantità di gas serra.
Il ruolo dei mammut
L’importanza delle praterie I mammut svolgevano un ruolo cruciale nel mantenimento delle praterie dell’era glaciale. Al pascolo, questi animali impedivano la crescita delle piante “serra”, che trattenevano calore e umidità. Le praterie, invece, contribuivano a mantenere il terreno freddo. La reintroduzione dei mammut potrebbe, quindi, aiutare a preservare le praterie e a mantenere il terreno abbastanza freddo da evitare lo scioglimento del permafrost. Questo processo potrebbe essere una strategia naturale per combattere il riscaldamento globale. Secondo i calcoli di alcuni ricercatori, se in futuro si riuscisse a fare pascolare in Siberia circa 80 mila mammut, si potrebbe dare un grosso contributo alla lotta contro il cambiamento climatico.
Questioni etiche sulla de-estinzione
È giusto far rivivere specie estinte? L’idea di fare rinascere specie estinte solleva numerose questioni etiche. Gli scienziati e i filosofi si interrogano se sia più sensato proteggere dall’estinzione gli animali in vita oggi piuttosto che riesumare la fauna preistorica. Mentre il progresso tecnologico rende possibile la clonazione, resta il dibattito su quanto sia eticamente corretto alterare il corso naturale dell’evoluzione. Far rivivere specie estinte potrebbe avere conseguenze imprevedibili sugli ecosistemi attuali e potrebbe distrarre risorse e attenzione dalla conservazione delle specie esistenti che sono minacciate di estinzione.
Un gesto riparatore
Responsabilità umana Se l’uomo è responsabile delle estinzioni passate, forse oggi, grazie alla genetica, può fare un gesto riparatore. L’estinzione di molte specie durante l’era glaciale è stata in parte attribuita all’attività umana. La caccia intensiva e la distruzione degli habitat hanno portato alla scomparsa di molte specie. La de-estinzione potrebbe essere vista come un tentativo di rimediare agli errori del passato, restituendo alla natura ciò che è stato perso. Tuttavia, è fondamentale ricordare che la protezione degli ecosistemi attuali rimane una priorità fondamentale per la biodiversità e la salute del pianeta. Le risorse e l’attenzione dovrebbero essere bilanciate tra il ripristino delle specie estinte e la protezione di quelle ancora esistenti.
Redazione
Immagine Di Mauricio Antón – from Caitlin Sedwick (1 April 2008). “What Killed the Woolly Mammoth?”. PLoS Biology 6 (4): e99. DOI:10.1371/journal.pbio.0060099., CC BY 2.5, commons.wikimedia.org
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